(V. Van Gogh, Ulivi) |
Angeli annientano il dubbio
dell’ignoto karma.
Fiori anonimi gettati a terra
raccolgono le parole
mai pronunciate.
Musica s’annienta di note
udite dai vetri e dalle sottane
e libera e divora
i canti d’inferno e magia.
Cucciola mia
guardo il tuo volto noto
che sbaraglia e calpesta
e scaraventa i miei versi
nel limbo di linfa.
Pari un ulivo in fiore,
nel tuo celere immaginare..
Ma canti
canti in me
che ho imparato a vivere
ma non a sopportarti.
Sopportare il tuo infinito
è più immenso delle gocce
che per miliardi di anni
hanno dissetato gli oceani.
Per meritare le tue mani
quando accarezzano la poesia
che ti fa ammattire
rinascerei per ogni religione
pregherei fino a prosciugare
la mia lingua
e la tua, e il fuoco, e la neve,
e il vento, e il lago, e il pianto.
Musa mia di cera
m’anneghi d’arido immortale.
Potrei scriverti
fino all’inverno del deserto
ma il mio polso non reggerebbe
il lavoro dell’amare.
Perciò t’accarezza
dove sei più morbida
e t’abbandona
come chi ha vissuto tutto
adorando ogni cosa
che si spegne, si perde
si riposa.
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